domenica 26 giugno 2011

Se non di carote, la farò di mais.

Che uno non ci pensa mai, quando guarda un vicino, che magari ti sta sulle balle, oppure estremamente simpatico, che dietro quella postura, quello sguardo, quei gesti abitudinari, c'è altro. 
C'è il dietro la porta, c'è un mondo che è altro da noi, da quel che vediamo, da quel che spettegoliamo, da quel che immaginiamo.
C'è un oltre la siepe, magari trattasi di distesa di prati fioriti, ma potrebbe pure trattarsi di un antro umidiccio buio e fetido, o una landa desolata di rinsecchiti cespugli che rotolano tristi e disperati.
C'è che mai fidarsi del proprio infallibile intuito. Mai fidarsi delle conseguenze tratte da frammenti di vita. Mai dimenticarsi che l'uomo poco è se non fallibile.
C'è che la Vita è altro dalle nostre congetture, dalle nostre speranze, i nostri sforzi. E' Vita, e scorre, se ne fotte, e scorre.
C'è la ragazzina del quarto piano di fronte, bellina, coi riccioli biondi, gli occhi azzurri. C'è che l'altro giorno, come si fa nei paesini chè tanto lo facciam tutti, ha svoltato l'angolo dello stop meno trafficato del quartiere, ed un altro ciclista l'ha presa in pieno, ed è caduta, ed è distesa in ospedale, immemore muta spaventata.
C'è la madre di famiglia dell'appartamento a sinistra sul mio pianerottolo, brava cuoca, ciarlatrice semiprofessionista. C'è che ti bussa alle nove di mattina, in ciabatte e vestaglia, che sei già pronta a portarle zuccherolattegrana che l'avrà finito come capita, ha bisbigliato qualcosa, cosa? e ti ripete se può chiederti un piacere da tenere segreto, e ti mostra una bottiglia di vino, e ti chiede se può nasconderlo nel tuo portaombrelli, e ti guarda con occhi allagati di vergogna e brama.
E ti senti spossato.

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